Gli haiku monoverso, di Antonio Sacco

Questo articolo ha come finalità quella di analizzare le modalità compositive e di far luce sulle caratteristiche degli haiku monoverso (chiamati anche monoku o, in inglese, one-line haiku). In questo scritto prenderemo in esame come, e in che modo, gli haiku monoverso sono stati introdotti nel panorama letterario internazionale e, successivamente, come sono stati legittimati da un punto di vista storico. Passeremo, poi, ad esaminare la struttura e le peculiarità di questa particolare forma compositiva, mettendo anche in risalto analogie e differenze con gli haiku composti classicamente in tre versi. Vedremo che relazioni sussistono fra i monoku e i monostici (poesie costituite da un solo verso) anche qui attraverso analogie e differenze; proporremo infine la sistematizzazione dei vari haiku monoverso attraverso la loro suddivisione in tre gruppi principali proposta da Higginson (1). Questo articolo ha l’intento di cercare di colmare la lacuna, nell’attuale panorama letterario esistente, per quel che riguarda gli haiku monoverso, non avendo trovato articoli approfonditi ed esaustivi in lingua italiana su questo specifico argomento. Lo scopo del presente scritto è anche quello di diffondere delle corrette informazioni su questa specifica modalità compositiva, purtroppo, ancora poco conosciuta in Italia.

Storia degli haiku monoverso

Il primo autore occidentale che teorizzò la stesura di haiku su di un’unica linea orizzontale fu l’esponente di spicco della Beat Generation Jack Keruac; si trattava, ovviamente, di sperimentazioni letterarie basate sull’analogia con il ku verticale giapponese, attraverso il quale, spesso, gli haiku classici venivano scritti. Ma è solo a partire dalla seconda metà degli anni Settanta che questa modalità compositiva prese effettivamente piede e fu legittimata mediante studi, saggi e traduzioni da parte di haijin e cultori della materia. Fra essi ricordiamo Marlene Morelock Wills, meglio conosciuta come Marlene Mountain, la quale fu una dei primi poeti in lingua inglese a scrivere regolarmente haiku sviluppati su un unico rigo orizzontale; il suo primo libro The old tin roof (1976) includeva molte poesie a un solo verso, come questo ad esempio:

old woodcutter rests on the rings of the oak

vecchio taglialegna riposa sugli anelli della quercia

In quegli stessi anni anche sul fronte delle traduzioni dal giapponese alla lingua inglese si prese, talvolta, l’abitudine di rendere gli haiku tradotti come one-line haiku: questo, soprattutto, grazie all’opera di Hiroaki Sato. Infatti, nel libro From the Country to Eight Islands (2), pubblicato nel 1981, l’approccio verso questa modalità è molto evidente. C’è da dire, però, che nelle sue traduzioni, Sato segna e demarca lo stacco (kireji), che ha il compito di fornire, comunque, una pausa o comunque una cesura nel componimento attraverso la punteggiatura. Questo dato è in accordo col tradizionale requisito giapponese, secondo cui uno haiku classico deve possedere, nella maggior parte dei casi, una pausa costituita dai cenemi (quest’ultimi, secondo la linguistica contemporanea, sono rappresentati da elementi linguistici che sono privi di un significato intrinseco). Sussiste quindi, nelle traduzioni di Sato, l’individuazione di un segmento fonetico attraverso il segno grafico, cosa che non avviene oggigiorno nei one-line haiku. Ecco un esempio di uno haiku del Maestro Issa tradotto da Sato presente nel libro sopra menzionato:

wait and see, the murderer too will turn into dew on the grass

aspetta e vedi, anche l’assassino si trasformerà in rugiada sull’erba

In questo haiku è forte il tema della transitorietà delle cose: la rugiada, infatti, è un simbolo convenzionale per il tema buddista del mujô: nulla resta per sempre uguale. Qui, Issa suggerisce che l’assassino e l’assassinato sono la stessa cosa, ossia gocce di rugiada temporanee in questo mondo (3).
Degno di nota, in questo excursus storico-poetico, fu anche Matsuo Allard il quale si prodigò per dare una base teorica sulla quale potessero poggiare gli haiku monoverso: scrisse, infatti, numerosi saggi a supporto di questo tema e li pubblicò in molte riviste e libri; egli stesso, inoltre, scrisse e praticò questa modalità compositiva. Successivamente, negli anni ’80 e ’90, molti poeti, fra i quali ricordiamo, John Wills, Michael Kettner, Jim Kacian ed altri, resero popolare quest’arte di comporre i monoku in lingua inglese.

Struttura e peculiarità degli haiku monoverso

Nel documento intitolato Lo haiku in lingua italiana (4) è contemplata e ammessa la composizione degli haiku monoverso. In essi abbiamo dunque il rispetto di tutti i crismi propri del genere poetico in questione, ossia il metro prestabilito di diciassette sillabe complessive (con il conteggio sillabico ortografico o metrico); la presenza del termine stagionale (kigo) o del tema stagionale (kidai), a meno che non si voglia considerare un muki, ossia uno haiku senza riferimento stagionale; la giustapposizione, nella maggior parte dei componimenti, di due immagini distinte (toriawase). Ciò che manca ed è omesso nei monoku è la rappresentazione segnica e/o i segni interpuntivi nei tre segmenti fonetici di cui è costituito lo haiku monoverso: la funzione dello stacco (kireji) è demandata alla semantica del segmento fonetico centrale dello scritto, questo rende plausibile e possibile una pluralità di letture tutte ugualmente lecite. Ad esempio:

distanza tra il crepuscolo e l’alba gli occhi di lei (5)

Come si può notare, in questo componimento viene rispettato il metro con le diciassette sillabe complessive, ma quello che salta all’occhio è che non c’è nessun segno grafico ad indicare lo stacco. Eppure, quest’ultimo può venir espresso implicitamente dalla semantica del componimento preso in esame. In altri termini, è il significato del segmento fonetico centrale, in questo caso rappresentato da “tra il crepuscolo e l’alba”, a giocare un ruolo chiave nell’interpretazione del monoku. Si può, quindi, interpretare in due modi diversi lo haiku monoverso testé citato ossia:

distanza [ – cesura] tra il crepuscolo e l’alba gli occhi di lei

oppure:

distanza tra il crepuscolo e l’alba [ – cesura] gli occhi di lei

Quindi, il monoku deve essere inizialmente letto come un unico verso ininterrotto senza indicatori di pausa specificanti, anche se spesso possono sussistere, in seno al monoku, suddivisioni semantiche che rimandano alla classica forma in tre versi; questo dato non esula dal fatto che, anche in questi casi, si consentono al lettore diverse interpretazioni basate su variazioni sintattiche dello scritto, che andrebbero comunque perse, se non fossero mantenute nella forma specifica di haiku monoverso. In questo bel componimento di Marco Pilotto è evidente il concetto appena esposto:

cade una stella lontano sulla spiaggia la luce di un falò (6)

Qui gli stacchi possibili, e le conseguenti leggere variazioni di significato, sono addirittura tre, uno dei quali contempla il chūkangire (stacco interno al verso):

1) cade una stella – lontano sulla spiaggia la luce di un falò
2) cade una stella lontano – sulla spiaggia la luce di un falò
3) cade una stella lontano sulla spiaggia – la luce di un falò

Un lettore poco pratico di questa modalità compositiva potrebbe obiettare che da un punto di vista sintattico questi tipi di componimenti non siano corretti a causa della punteggiatura mancante: ebbene, affermando questo si capisce che quello stesso lettore non ha ancora ben compreso in pieno lo “spirito” e la base teorica che anima questo modo di comporre gli haiku.

Relazioni e differenze col monostico

Per monostico (in inglese monostich) si intende una poesia costituita da un solo verso più il titolo. È stato descritto come «un frammento sorprendente che conserva la sua integrità» (7), in quanto è fruibile attraverso una lettura ininterrotta, senza pause forzate, a meno che non vi siano degli espliciti segni interpuntivi. Da un punto di vista storico, quasi tutti i primi monostici in lingua inglese sono stati importati e tradotti da altre lingue, in particolare dal russo e dal francese. I moderni monostici sono nati in Russia nel 1894 (8), quando il poeta Valery Bryusov pubblicò un monostico dal senso piuttosto inusuale e bizzarro: Oh, cover thy pale feet! (‘Oh, copri i tuoi pallidi piedi!’). Di solito, e a differenza degli haiku monoverso, i monostici hanno un titolo, il quale gioca un ruolo importante nel capire il testo e il contesto nel quale quest’ultimo è calato:

NEL CIELO

La luna si fa interrogativo (9)

I monostici possono inoltre presentare pause espresse tramite l’uso dei segni interpuntivi, cosa che, come abbiamo visto, non è contemplata nei monoku. Altra differenza importante e sostanziale è poi data dal fatto che, nei monostici, non troviamo di norma i tre segmenti fonetici che, al contrario, caratterizzano buona parte dei monoku. Successivamente i monostici tornarono in auge grazie all’opera di Guillame Apollinaire nel 1914 (10).

Suddivisione degli haiku monoverso secondo la classificazione di Higginson

William J. Higginson, nel suo articolo intitolato From One-line Poems to One-line Haiku (11), ha proposto un’interessante classificazione dei monoku suddividendoli in tre diverse categorie:

1) one-breath haiku (‘haiku in un solo respiro’, ossia quegli haiku monoverso che iniziano e finiscono in una sola emissione di fiato, senza alcuna pausa (break) durante la lettura. A questa tipologia di haiku appartengono i one-line haiku “puri”.

2) classic style of one-line haiku: a questa categoria appartengono i monoku che seguono il classico schema ritmico in tre segmenti fonetici. Tuttavia, a differenza del modello in tre versi, anch’essi vengono alla luce in un solo respiro:

I open the door darkness letting in a strange moth

Matsuo Allard, Bird Day Afternoon, 1978

3) multiple-meaning one-line haiku: quei one-line haiku che potrebbero avere un ritmo come i classici haiku in tre versi, ma che, in aggiunta, offrono al lettore diverse interpretazioni dello scritto attraverso la versatilità degli elementi sintattici. Il lettore attento, in questi casi, può trovare diversi significati presenti simultaneamente.

Conclusione

Siamo giunti alla conclusione di questo articolo; abbiamo discusso delle caratteristiche degli haiku monoverso ed esaminato, attraverso un excursus storico-poetico, in che modo questi componimenti si siano sviluppati ed affermati nel panorama letterario internazionale, capendo così su quali basi teoriche poggiano i c.d. monoku. Quello che colpisce è che, di solito, si pretende di esaurire questo argomento, nei pochi scritti in lingua italiana che trattano di questa modalità compositiva, in poche righe dando risalto soprattutto al ruolo dello stacco, ma, come abbiamo potuto notare, il soggetto del nostro studio richiede un discorso più ampio ed approfondito. Mi auguro che in questo scritto sia emersa la complessità di questo modo di comporre tali versi purtroppo ancora troppo poco discusso e praticato in Italia. Lo haiku, nella classica forma in tre versi, si è già guadagnato un posto di rilievo nel panorama della letteratura mondiale, ora auspico lo stesso successo anche a questa variante compositiva così peculiare.

Note:

(1) From One-line Poems to One-line Haiku, in Simply Haiku.
(2) From the Country to the Eight Islands: An Antology of japanise poetry, The University of Washington Press, 1981.
(3) http://haikuguy.com/issa/.
(4) A cura dell’Associazione Italiana Haiku, pubblicato il 1° Agosto 2015 da Luca Cenisi e Andrea Cecon.
(5) Da Altri haibun, in A. Cecon, Cartoline da Kiev. Haibun scelti, Edizioni Progetto Cultura, 2017.
(6) Haiku monoverso inedito, per gentile concessione di Marco Pilotto.
(7) E. Rosko, A.V. Zee, A Broken Thing: Poets on the Line, University of Iowa Press, 2011.
(8) Alexander Kaun, Futurism and Pseudo-Futurism, The little Review, Vol. 1, 1914.
(9) Donatella Bisutti, in La poesia salva la vita: capire noi stessi e il mondo attraverso le parole, Mondadori, 1992.
(10) In Alcools, monostico intitolato Chantre.
(11) William J. Higginson, in Simply Haiku.

Immagine: Katsukawa Shunshō, La poesia persuasiva (1772-1776)

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