Gli haiku monoverso, di Antonio Sacco

Questo articolo ha come finalità quella di analizzare le modalità compositive e di far luce sulle caratteristiche degli haiku monoverso (chiamati anche monoku o, in inglese, one-line haiku). In questo scritto prenderemo in esame come, e in che modo, gli haiku monoverso sono stati introdotti nel panorama letterario internazionale e, successivamente, come sono stati legittimati da un punto di vista storico. Passeremo, poi, ad esaminare la struttura e le peculiarità di questa particolare forma compositiva, mettendo anche in risalto analogie e differenze con gli haiku composti classicamente in tre versi. Vedremo che relazioni sussistono fra i monoku e i monostici (poesie costituite da un solo verso) anche qui attraverso analogie e differenze; proporremo infine la sistematizzazione dei vari haiku monoverso attraverso la loro suddivisione in tre gruppi principali proposta da Higginson (1). Leggi tutto “Gli haiku monoverso, di Antonio Sacco”

Un fiore, un addio

Lettura di uno haiku di Marco Pilotto, pubblicato all’interno del Gruppo di Studio sullo Haiku l’8 giugno 2019.

cadono i fiori
il respiro di nonna
si affievolisce

Questo componimento di Marco Pilotto si caratterizza per un profondo senso di unità tra natura e vicende umane, laddove ciascun ku pare rafforzarsi reciprocamente alla luce di uno shiori しをり (‘fragilità’) dai toni al contempo personali ed universali.
Il respiro (iki 息) nel secondo rigo ‘si affievolisce’, perdendo dunque vigore proprio come quei fiori dalla non meglio precisata tassonomia che in apertura d’opera seguitano a cadere a terra, loro ultimo luogo di riposo; si tratta dunque non solo di un gesto meccanico di inspirazione ed espirazione, ma più in generale di quel soffio vitale (inochi 命) che anima ogni cosa e che in questi tre versi segue ora un movimento “verticale” (la gravità che spinge al suolo i fiori), ora uno “orizzontale” (la nonna verosimilmente stesa a letto). Leggi tutto “Un fiore, un addio”

L’onomatopea nella poesia haiku

Nello haiku tradizionale è piuttosto facile imbattersi in componimenti che fanno uso dell’onomatopea. Quest’ultima – anche detta fonosimbolo – consiste, com’è noto, in elementi lessicali (cioè parole o gruppi di parole) volti a riprodurre foneticamente un dato elemento o azione (ad esempio, tic-tac, bau bau).
Reginald Horace Blyth (1898-1964), nel primo volume della sua opera magna intitolata semplicemente Haiku¹, parla proprio del ricorso all’onomatopea da parte di grandi maestri del passato, distinguendo tra tre macro-categorie:

          1. parole che rappresentano in maniera diretta un suono mediante l’uso della voce (ad esempio ‘caw caw’ かーかー, ossia il gracchiare del corvo);
          2. parole che rappresentano un dato movimento od altra sensazione fisica diversa dal suono (ad esempio, ‘uro-uro’ うろうろ, cioè il vagare frenetico di chi è agitato);
          3. parole che rappresentano stati d’animo o moti psicologici od emotivi (ad esempio, ‘moya-moya’ もやもや, cioè il rimuginare su qualcosa).

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