Su candidi fili, la memoria

Lettura di uno haiku di Vincenzo Adamo, pubblicato all’interno del Gruppo di Studio sullo Haiku l’11 aprile 2020.

l’ultima neve –
la nonna perde il filo
del discorso

Uno haiku dai toni classici e ben bilanciato, con ji tarazu 字足らず (‘assenza di carattere’) nel rigo conclusivo. La giustapposizione (toriawase 取り合わせ) mette in relazione un evento naturalistico (l’ultima neve, a cavallo tra fine inverno e inizio primavera) e le vicende umane e personali dell’autore.
Così, se da un lato assistiamo a un movimento di segno positivo– l’implicito avvicinarsi del caldo e della bella stagione – dall’altro abbiamo una spinta uguale e contraria che disperde quel segnale in favore di una più intima e struggente ricostruzione. La nonna, infatti, con l’avanzare dell’età inizia a subire gli effetti di quel deterioramento cognitivo che porta, in diversi casi, alla demenza senile o all’Alzheimer.
L’evento qui registrato può invero costituire un’eccezione, un momento di défaillance che chiunque ha vissuto almeno una volta nella propria vita, magari perché assorto in altri pensieri od attività. Resta comunque il fatto che le due immagini si pongono in contrapposizione (shōgeki 衝撃) proprio alla luce dei diversi esiti che il tempo ha sull’uomo e sulla natura; il primo, esposto ad una progressione lenta ma inesorabile delle proprie fragilità, la seconda inserita in un contesto di tipo circolare che si rinnova eternamente.
Un’altra possibile lettura può vedere nell’interruzione del flusso di pensiero del soggetto nei vv. 2-3 un controbilanciamento alla caduta dei fiocchi nel primo ku, creando così due matrici di movimento, una orizzontale (lo snodarsi del “filo” mnemonico) e una verticale (la nevicata), lontane tra loro per gradienti di sviluppo ma accomunate da uno hosomi 細身 (‘sottigliezza’) che pervade l’opera nella sua interezza.
La lineetta (–), collocata in chiusura del rigo d’esordio, svolge la funzione di stacco, rimarcando il senso di ammirazione e stupore del poeta di fronte al paesaggio ancora imbiancato (eitan 詠嘆) e, al contempo, creando un riverbero di emozioni e sentimenti (yoin 余韻) a partire dal quale scaturiscono le suggestioni legate al secondo ku. La forma stessa del carattere (corto e piano) sembra voler ricordare al lettore che la neve (yuki 雪) non durerà, appiattendo ogni cosa sotto una sottile, candida coltre fino a quando il tiepido sole primaverile non tornerà a splendere alto nel cielo.
Quanto invece al futuro della relazione tra il protagonista e sua nonna, dipenderà tutto dal destino e dalla genetica. Certamente, anche qualora quel “discorso interrotto” non dovesse riprendere, il legame affettivo tra i due non subirà alcun detrimento, adattandosi e rinnovandosi proprio come fanno i rami degli alberi ad ogni cambio di stagione.
Uno scritto nel suo complesso caratterizzato da una marcata partecipazione emotiva (kokoro ni kaku 心にかく) e da un fueki ryūkō 不易流行 (l’eterno e il contingente) che, sebbene veicolato da un repertorio già collaudato, trasmette proprio grazie alla giustapposizione una viscerale, piacevolissima freschezza.

Immagine: Okumura Masanobu, Neve (1720 circa)

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