Il fascino acerbo delle parole

Breve ricognizione sull’estetica dello shibui nella poesia haiku.

Termine fondamentale nella ricostruzione dell’estetica giapponese è lo shibui 渋い. Forma aggettivale del sostantivo shibusa 渋さ, letteralmente “austerità” o, più probabilmente, di shibumi 渋み (“astringenza”), esso affonda le proprie radici nella poetica del Periodo Muromachi (1333-1568), indicando, essenzialmente, tutto ciò che è asciutto o “astringente”, in contrapposizione a ciò che è amai 甘い, ossia “dolce”.
Sebbene la trattatistica in materia di poesia haiku tenda a focalizzare l’attenzione del lettore su altri principi estetici (principalmente il wabi 侘, il sabi 寂, il mono no aware 物の哀れ e lo yūgen), merita di essere evidenziato come anche lo shibui, con il suo fascino acerbo, discreto ed essenziale, abbia contributo in misura non trascurabile a ridefinire i contorni di un genere – lo haiku appunto – che fonda il proprio fascino sulla semplicità ed immediatezza di espressione, ossia sulla capacità, da parte dello haijin 俳人, di saper cogliere la realtà nel momento stesso in cui questa si manifesta, attraverso un procedimento di “quiescienza della mente” che non significa ablazione del sé, ma, ad un livello più profondo, riscoperta del sapore autentico dello spirito (kokoro no aji 心の味)¹ latente in ogni cosa, nel qui e ora naturalistico. Leggi tutto “Il fascino acerbo delle parole”

L’intima connessione delle cose

Riflessioni sul libro Aware. Storia semantica di un termine nella poesia giapponese classica di Chiara Ghidini, M. D’Auria Editore, 2012, pp. 120, Euro 18,00.

In questo breve ma lucido saggio, Chiara Ghidini, docente in Lingua e letteratura giapponese presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, nonché autrice dello studio intitolato Aware nel Kokinwakashū: Traduzione poetica e poetica della traduzione del 1995, scandaglia con rigore accademico ma, al contempo, con un linguaggio equilibrato e lineare, l’etimologia e la storia semantica di uno dei termini più ricorrenti nell’estetica letteraria giapponese, ossia aware 哀れ.
La disamina trova, invero, uno specifico approfondimento solo a partire dalla seconda sezione del libro (pp. 41-95), poiché nella prima la Ghidini rimarca (a mio avviso, doverosamente) una premessa esegetica essenziale, ossia la necessità di adottare un approccio alla traduzione di un qualsivoglia testo (specie poetico) in lingua straniera quanto più possibile fedele non solo alla lettera, ma anche allo spirito di quest’ultima: «essere fedeli alla poesia significa percepirne l’essenziale, o ciò che la rende tale, riconoscere nell’atto del tradurre l’instaurarsi di un rapporto tra lingua e lingua, ma anche tra testo e testo, tra visioni del mondo compatibili se pur differentiLeggi tutto “L’intima connessione delle cose”