Miyabi: eleganza e poetica

Miyabi 雅 (‘eleganza’ o ‘raffinatezza’) è un ideale estetico diametralmente opposto a tutto ciò che è volgare, crudo e grezzo, ed evoca un senso di grazia e armonia espressiva.
Legato in particolare al mono no aware 物の哀れ, ossia alla capacità del poeta di lasciarsi “attraversare” dalle cose del mondo (principio che, tuttavia, si rivolge agli aspetti intimi e interiori del poeta, e non agli atteggiamenti formali come il miyabi), ha trovato nell’epoca Heian (794-1185) il periodo di maggior sviluppo, trasformandolo in un elemento “classista”, posto che solo le fasce sociali più elevate (in particolare, i cortigiani) ritenevano di poterne cogliere appieno ogni sfumatura, tanto essere definito come un vero e proprio ideale culturale aristocratico.
Esprimono degnamente il concetto di miyabi, ad esempio, i rami costellati da fiori di pruno, il tenue profumo di un legno raro, un’essenza ricercata o le eleganti sfumature cromatiche di una veste(1).
A far data dall’epoca Edo (1603-1868), miyabi si pose in contrapposizione al concetto di zoku 俗, ossia di ciò che è popolare, volgare o comune. Come evidenziato da De Bary, infatti, «[il concetto di] miyabi ha spinto i poeti [di questo periodo, N.d.T.] a ogni forma di grettezza, di rusticità, di sconvenienza, ma nel fare questo, si sono spinti fin quasi a cancellare o diluire i veri sentimenti»(2).
Miyabi deriva dal verbo miyabu 宮ぶ, che significa letteralmente ‘comportarsi adeguatamente (bu) nella Corte imperiale (miya)’, con ciò suggerendo che «[il termine] non implica solo eleganza e raffinatezza, ma anche una matrice culturale incentrata sulla vita di corte»(3). In tale ricostruzione, il termine che si pone dunque in perfetta antitesi con miyabi è hinabi 鄙び, ossia ‘rustico’, ‘provinciale’.
L’ideale originario di miyabi si disperse gradualmente nelle epoche successive, resistendo tuttavia ancor’oggi quale paradigma di bellezza riscontrabile in determinati contesti (ad esempio, nello hanami 花見 e nel momijigari 紅葉狩).

むめの花にほひをうつす袖のうへにのきもる月のかげぞあらそふ
mume no hana nioi o utsusu sode no ue ni noki moru tsuki no kage zo arasou

il profumo dei fiori di pruno
resta sulle maniche;
la luce della luna
che gocciola dalle gronde
sembra fare altrettanto…

Fujiwara Sadaie (1162-1241), Shin kokin wakashū I:44

Note:

(1) Cfr. W.T. De Bary, Carol Gluck (a cura di), Sources of Japanese Tradition, Volume One: From Earliest Times to 1600, Columbia University Press, 2001, p. 160.
(2) W.T. De Bary, The Vocabulary of Japanese Aesthetics, I, in Japanese Aesthetics and Culture: A Reader, State University of New York, 1995, p. 45.
(3) H. Shirane, The Bridge of Dreams: A Poetics of the Tale of Genji, Stanford University Press, 1987, p. 30.

Immagine: Toyohara Chikanobu, XIX secolo (part.)

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