La posizione dello stacco nello haiku giapponese

Nello haiku giapponese il kireji 切れ字 (letteralmente, ‘carattere che taglia’) può essere collocato in quattro diverse posizioni.
Può essere posto, ad esempio, al termine della prima o della seconda riga. In questi casi, il taglio viene chiamato, rispettivamente, shokugire 初句切れ (‘taglio del primo ku’) e nikugire 二句切れ (‘taglio del secondo ku’). Di seguito riporto due esempi:

涼しさ額をあてて青畳
suzushisa ya hitai wo atete aodatami(1)

che freschezza!
Appoggio la fronte
sul nuovo tatami

Shiba Sonome (1664-1726)

雛見世の灯を引ころ春の雨
hina-mise no hi o hiku koro ya haru no ame(2)

spenta la luce
del negozio di bambole –
pioggia di primavera

Yosa Buson (1716-1784)

Alcuni kireji si collocano invece al termine del componimento, ossia in chiusura del terzo rigo, come kana 哉 (per enfatizzare la scena che precede e sostenere, in certi casi, la kigo) e keri けり (suffisso verbale che esprime coinvolgimento o replica esclamativa a una situazione presente appena scoperta). In questi casi, si parla di kugirenashi 句切れなし. Leggi tutto “La posizione dello stacco nello haiku giapponese”

Consigli di lettura

Il file allegato racchiude una serie di testi (antologie, saggi e monografie) dedicati allo haiku, sia in lingua italiana che inglese, più un testo in spagnolo. Si tratta di opere di una certa rilevanza, che mi sento di consigliare caldamente a quanti volessero approfondire le caratteristiche di forma e contenuto, oltre che i canoni estetici, di questo genere poetico.

La lista non ha carattere di esaustività, ma rappresenta, come accennato, un insieme di letture propedeutiche ad elevato valore aggiunto.

Per eventuali segnalazioni o richieste di approfondimento sui singoli titoli, scrivere a info@lucacenisi.net.

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Gli zappai

Gli zappai 雑俳 (letteralmente, ‘haikai miscellanei’, anche detti zakku 雑句 o ‘ku miscellanei’) sono una particolare categoria di componimenti che non rispetta i “canoni” dello haiku tradizionale (in particolare, la presenza di un riferimento stagionale o kigo 季語).
Spesso definiti erroneamente “pseudohaiku” e relegati a categoria residuale e di minor interesse a livello letterario, rappresentano invero nel panorama poetico giapponese, un genere dotato di identità e dignità storicamente radicate nello haikai 俳諧, sostanzialmente distinto sia dallo haiku che dal senryū 川柳.
Secondo il critico e studioso Katsutada Suzuki (1923-2012), gli zappai possono infatti essere definiti come «haikai in cui i sentimenti umani vengono composti in forma di hiraku 平句 [i ku 句 ordinari della haikai no renga, N.d.R.] e che non possono essere incorporati in altre forme di haikai esistenti»¹. Leggi tutto “Gli zappai”

Gli haiku monoverso, di Antonio Sacco

Questo articolo ha come finalità quella di analizzare le modalità compositive e di far luce sulle caratteristiche degli haiku monoverso (chiamati anche monoku o, in inglese, one-line haiku). In questo scritto prenderemo in esame come, e in che modo, gli haiku monoverso sono stati introdotti nel panorama letterario internazionale e, successivamente, come sono stati legittimati da un punto di vista storico. Passeremo, poi, ad esaminare la struttura e le peculiarità di questa particolare forma compositiva, mettendo anche in risalto analogie e differenze con gli haiku composti classicamente in tre versi. Vedremo che relazioni sussistono fra i monoku e i monostici (poesie costituite da un solo verso) anche qui attraverso analogie e differenze; proporremo infine la sistematizzazione dei vari haiku monoverso attraverso la loro suddivisione in tre gruppi principali proposta da Higginson (1). Leggi tutto “Gli haiku monoverso, di Antonio Sacco”

Una contestualizzazione del termine “haijin”

All’interno dei vari approfondimenti proposti nel sito si è spesso fatto riferimento, nel descrivere colui che compone haiku, al termine haijin, traducibile letteralmente come ‘persona haiku’¹. In verità, nella lingua giapponese, esistono due varianti in kanji della parola in questione, cui corrispondono altrettanti significati nettamente divergenti. Abbiamo, così, uno haijin 俳人 legato esclusivamente al contesto letterario dello haiku (ed impiegato qualche sinonimo di “poeta esperto”), ed uno haijin 廃人, che letteralmente significa ‘storpio’, spesso usato per indicare coloro che, isolandosi totalmente dalla vita reale per dedicarsi ai videogiochi, provocano a loro stessi una disfunzione o “menomazione” sociale.
Per queste ragioni, coloro che si dedicano con impegno ed interesse alla composizione di haiku, onde evitare fraintendimenti, ricorrono al termine haijin solamente all’interno dei circoli poetici cui fanno parte, preferendo usare, durante le conversazioni sociali e pubbliche, la più generica espressione haiku o tsukuru hito 俳句を作る人, ossia ‘persona che compone haiku’. Leggi tutto “Una contestualizzazione del termine “haijin””

Miyabi: eleganza e poetica

Miyabi 雅 (‘eleganza’ o ‘raffinatezza’) è un ideale estetico diametralmente opposto a tutto ciò che è volgare, crudo e grezzo, ed evoca un senso di grazia e armonia espressiva.
Legato in particolare al mono no aware 物の哀れ, ossia alla capacità del poeta di lasciarsi “attraversare” dalle cose del mondo (principio che, tuttavia, si rivolge agli aspetti intimi e interiori del poeta, e non agli atteggiamenti formali come il miyabi), ha trovato nell’epoca Heian (794-1185) il periodo di maggior sviluppo, trasformandolo in un elemento “classista”, posto che solo le fasce sociali più elevate (in particolare, i cortigiani) ritenevano di poterne cogliere appieno ogni sfumatura, tanto essere definito come un vero e proprio ideale culturale aristocratico.
Esprimono degnamente il concetto di miyabi, ad esempio, i rami costellati da fiori di pruno, il tenue profumo di un legno raro, un’essenza ricercata o le eleganti sfumature cromatiche di una veste(1). Leggi tutto “Miyabi: eleganza e poetica”

Con il perno a stringere le lame. L’estetica del kire: un’introduzione

Com’è noto, il ‘taglio’ (kire 切れ) presente all’interno di uno haiku consiste in «una cesura semantica e/o ritmico-grammaticale o una sospensione del discorso poetico atta a spezzare il flusso di pensiero del lettore e stimolarlo a ricercare il collegamento tra le due parti dell’opera così divise»(1). Tale cesura viene formalizzata, in Giappone, mediante ricorso ai c.d. kireji 切れ字 (‘caratteri che tagliano’), ossia fonemi(2) rientranti nel conteggio “sillabico” complessivo che svolgono al contempo una funzione semantica e grammaticale (appunto, lo stacco) e una stilistico-poetica propriamente detta, giacché capace di provocare nel lettore una risposta emotiva di ammirazione (eitan 詠嘆) ed un riverbero di suggestioni e sentimenti (yoin 余韻) particolarmente efficace.
Si legga, ad esempio, il seguente haiku a firma di Kobayashi Issa (1763-1828), nel quale lo stacco viene marcato da ya や, particella esclamativa la cui funzione è quella di enfatizzare quanto precedentemente scritto, preparando il lettore alla seconda parte del componimento: Leggi tutto “Con il perno a stringere le lame. L’estetica del kire: un’introduzione”

Forma ed esperienza

Quando si parla di estetica, molti sono portati automaticamente a pensare a una “teoria del bello”, dunque ad un “giudizio di gusto” (Treccani) su un dato prodotto dell’arte.
Il termine deriva etimologicamente dal greco αἴσθησις (‘sensazione’), e dunque il suo significato letterale sarebbe quello di qualcosa che “può essere percepito mediante l’uso dei sensi”. Solo a far data dalla fine del XVIII secolo assunse quella fisionomia di “scienza della bellezza” che avrebbe spostato l’attenzione dall’oggetto alla relazione soggetto-oggetto.
Quando si parla di estetica giapponese, dunque, va preliminarmente evidenziato come questa non indichi una simile teoria, quanto piuttosto «un ambito di pratiche e di sensibilità caratterizzato dall’attività di mettere in forma l’esperienza»¹. Non si è cioè sviluppato in Giappone un modello di relazione tra percipiente e percepito fondato esclusivamente sulla sensibilità individuale del primo, slegata da una dimensione pratica e universale del vivere: Leggi tutto “Forma ed esperienza”

Metodologia e limiti nel tradurre gli haiku

Per George Steiner, critico e saggista francese, tradurre non è solo un processo letterario di tipo traspositivo, quanto una vera e propria “esperienza esistenziale” (Après Babel, 1975). È innegabile, infatti, che il confronto con un testo straniero – ancor più se poetico – richiede una sensibilità particolare nell’approcciarsi allo stesso e la ricerca di una forma che, per quanto possibile, ne riesca a preservare il senso, pur con fisiologiche perdite sui fronti metrico, ritmico e in certi casi semantico.
Il legame che si viene a creare con lo scritto è per molti versi intimo e viscerale, e la versione che ne è frutto è nondimeno l’esito di un processo che, al di là delle competenze tecniche di decodifica, coinvolge il sentimento personale di chi traduce, dando vita così ad un’opera dotata a sua volta di dignità letteraria(1).
In tale contesto lo haiku 俳句 non fa eccezione. La sua estrema brevità, sebbene facilmente equivocabile ed interpretabile come “semplicità” espressiva, tende all’opposto a rendere conto al traduttore di una serie di limiti pressoché invalicabili. Leggi tutto “Metodologia e limiti nel tradurre gli haiku”

La ripetizione nella poesia haiku

 

La ripetizione, in poesia, consiste nella reiterazione di una data parola od espressione (anche con minime variazioni, sia formali che sintattiche) all’interno del componimento. In genere, scopo della ripetizione è quello di enfatizzare una data immagine o produrre una sensazione di sorpresa e meraviglia nell’animo del lettore, che vi attribuirà dunque un dato significato a seconda del proprio sentire e della propria interpretazione del testo.
Sebbene lo haiku sia una forma poetica estremamente breve, in quanto composta da sole 17 sillabe (rectius, on 音), non è raro imbattersi in opere – sia di maestri antichi che di autori contemporanei – che adottano tale figura retorica (in giapponese, kurikaeshi 繰り返し) per le ragioni sopra menzionate. Leggi tutto “La ripetizione nella poesia haiku”