Il chūkangire: quando lo stacco cade all’interno di un verso di uno haiku

Approfondimento a cura di Antonio Sacco

In questo breve scritto vorrei porre attenzione su di un particolare aspetto del kireji (切れ字, letteralmente “carattere che taglia”) ossia una parola, intraducibile, che indica uno stacco (kire, 切れ), un intervallo (ma, 間) e che nella lingua giapponese viene reso appunto attraverso particolari categorie di parole (chiamate “cenemi”, che nella linguistica contemporanea sono rappresentati da elementi privi di un significato intrinseco) non direttamente traducibili in italiano, come ya や, kana かな e keri けり. Lo stacco è reso in italiano attraverso l’uso dei segni interpuntivi (trattino, due punti, virgola, ecc.) che dividono il componimento in due emistichi e rendono più visibile la toriawase, il collegamento tra due immagini diverse in uno stesso componimento haiku.
Di solito, negli haiku in lingua italiana, siamo abituati a porre la pausa, la cesura alla fine del kamigo (primo verso di uno haiku) o del nakashichi (secondo verso) secondo questo schema:

v. 1: prima immagine (stacco)
vv. 2-3: seconda immagine

oppure:

vv. 1-2: prima immagine (stacco)
v. 3: seconda immagine Leggi tutto “Il chūkangire: quando lo stacco cade all’interno di un verso di uno haiku”

Lo haiku in Italia

È possibile parlare di “haiku italiani”? La domanda, apparentemente scontata, solleva da sempre, in verità, diverse questioni, relative principalmente alle divergenze culturali che separano il Giappone (terra di origine dello haiku) e, appunto, l’Italia. Io stesso, durante le varie conferenze e presentazioni svolte in questi anni, ho ricevuto le più varie obiezioni, tutte riducibili sostanzialmente all’impossibilità di far aderire completamente ed esattamente lo haiku tradizionale giapponese a quello nostrano.

Le complessità, invero, esistono e sono evidenti. Innanzitutto a livello formale, laddove lo “stacco” (kire 切れ) che solitamente divide l’opera in due parti, viene generalmente reso in Giappone mediante ricorso ai kireji 切れ字, letteralmente “caratteri che tagliano”. Non si tratta, come in occidente, di segni di punteggiatura (lineetta, virgola, due punti, ecc.), quanto di veri e propri termini che contano nell’economia metrica complessiva dello scritto, essendo ricompresi nel computo “sillabico” (ya や conta infatti un on, kana かな due, e così via) e che conferiscono, al contempo, una certa aulicità all’opera. Leggi tutto “Lo haiku in Italia”

Il concetto di spazio o “ma”

Principio determinante nella comprensione dell’arte giapponese in generale e, dunque, dello haiku 俳句 è quello dello “spazio” o ma 間. Esso identifica, più in particolare, quell’intervallo che, pur separando due elementi, in qualche modo li unisce, essendo indissolubilmente legato ad entrambi. Così, ad esempio, nell’esperienza poetica dello haiku, l’individuo-poeta (lo haijin 俳人) e la realtà circostante sono entità apparentemente distinte, ma che si riducono, in ultima istanza, ad unità nell’inespresso, in quella bellezza naturale che può essere colta solo attraverso l’interazione stessa tra uomo e natura e che trova il proprio fondamento estetico nell’intuizione e nel suggerito. Scrive, in merito, Richard Gilbert:

L’essenza reale del “ma” non può essere codificata con precisione, poiché “ma” non è né una cosa o un oggetto, né una singola qualità, quanto piuttosto l’esperienza di una psicologica inter-esistenza [betweenness, N.d.T.] che si realizza nella tecnica del kire [il “taglio” operato dai kireji](1). Leggi tutto “Il concetto di spazio o “ma””

Riflessioni sullo stacco nello haiku

Com’è noto, il kireji 切れ字 (letteralmente, “carattere che taglia”) rappresenta lo stacco tra immagini o concetti giustapposti, una pausa/cesura atta a creare un effetto di sospensione, ammirazione o coinvolgimento con il qui e ora naturalistico. Alla soglia «tra il livello semantico e quello musicale-sonoro» (Iarocci), il kireji è elemento essenziale nella composizione di un buon haiku. Nei Paesi anglofoni (in particolare, gli Stati Uniti), il problema della riproduzione di questo elemento sostanzialmente non si pone; alcuni dei più importanti critici e studiosi di letteratura giapponese dell’ultimo secolo come Reginald Horace Blyth (1898-1964), Harold Gould Henderson (1889-1974) e William J. Higginson (1938-2008), infatti, hanno reso lo stacco (kire 切れ) attraverso un uso intensivo dei segni d’interpunzione, ben comprendendo come, in Occidente, le “parole che tagliano” siano fisiologicamente impossibili da trasporre con assoluta fedeltà. Leggi tutto “Riflessioni sullo stacco nello haiku”

Lo haiku. Un primo approccio estetico

Riproposta di un mio articolo pubblicato su New Espressione Libri n. 2/giugno 2014.

Alla parola “haiku” un numero sempre maggiore di persone associa oggi, quasi pacificamente, la definizione di un genere poetico di origine giapponese, composto da diciassette sillabe e tre versi (secondo lo schema 5-7-5) e derivato dal cosiddetto hokku 発句, la prima stanza di una forma letteraria più antica, a carattere collaborativo, detta renga 連歌 (“poesia legata”).
Pochi sanno, invece, che per comporre un buon haiku è necessario applicare altri canoni di forma e di “contenuto”, in primis la presenza di un riferimento stagionale o kigo 季語 (dal giapponese, letteralmente, “parola della stagione”), ossia quel termine/espressione che, direttamente od indirettamente, permetta di identificare il periodo dell’anno in cui lo scritto è stato composto o al quale il medesimo fa riferimento, come nell’opera che segue:

shiromomo ya tsubomi urumeru eda no sori

un pesco bianco:
la curva del ramo
rapita dai fiori

Ryūnosuke Akutagawa (1892-1927) Leggi tutto “Lo haiku. Un primo approccio estetico”