L’onomatopea nella poesia haiku

Nello haiku tradizionale è piuttosto facile imbattersi in componimenti che fanno uso dell’onomatopea. Quest’ultima – anche detta fonosimbolo – consiste, com’è noto, in elementi lessicali (cioè parole o gruppi di parole) volti a riprodurre foneticamente un dato elemento o azione (ad esempio, tic-tac, bau bau).
Reginald Horace Blyth (1898-1964), nel primo volume della sua opera magna intitolata semplicemente Haiku¹, parla proprio del ricorso all’onomatopea da parte di grandi maestri del passato, distinguendo tra tre macro-categorie:

          1. parole che rappresentano in maniera diretta un suono mediante l’uso della voce (ad esempio ‘caw caw’ かーかー, ossia il gracchiare del corvo);
          2. parole che rappresentano un dato movimento od altra sensazione fisica diversa dal suono (ad esempio, ‘uro-uro’ うろうろ, cioè il vagare frenetico di chi è agitato);
          3. parole che rappresentano stati d’animo o moti psicologici od emotivi (ad esempio, ‘moya-moya’ もやもや, cioè il rimuginare su qualcosa).

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L’attesa del cielo

Commento critico allo haiku di Eufemia Griffo, pubblicato sulla rivista Otata il 1° luglio 2018.

spring fog
the muffled cry
of a seagull

nebbia primaverile
il grido ovattato
di un gabbiano

L’autrice, con questo componimento – permeato da un evidente senso di levità (karumi 軽み) ma, al contempo, da un fascino solitario e melanconico (sabi 寂) – coniuga semplicità di dettato e profondità di sentire, elaborando per il tramite della propria esperienza un senso di indicibile che si pone quale paradigma interpretativo circolare e, tuttavia, “aperto”.
Così, la nebbia di primavera (harugasumi 春霞, kigo appartenente alla categoria “celeste” all’interno dei saijiki 歳時記), nell’avvolgere nel suo manto di silenzi ogni cosa, opera di fatto come reductio ad unum, annullando ogni differenziazione cromatica e sonora in favore di un’uniformità impenetrabile, voluminosa (futoi 太い) e, ad una prima lettura, opprimente. Leggi tutto “L’attesa del cielo”